Un giorno degli Indù portarono un elefante che mostrarono in una casa oscura. Entrarono diverse persone per conoscere questo strano animale che non avevano mai visto. Il luogo era, però, buio, e, coloro che accorsero per osservare l’elefante, dovettero tastarlo con le mani.
Allora una persona gli toccò la proboscide e disse : "Questo animale è come un tubo".
Un’altra persona gli toccò l’orecchio e disse : "Questo animale sembra un ventaglio".
Un altro ancora che gli toccò una zampa disse : "Ha la forma di un pilastro".
Un’altro individuo gli misi la mano sulla schiena e disse: "Questo elefante ha la forma di un trono".
Ogni individuo che lo tastava si creava una sua idea di questo strano animale che non aveva mai visto.
Se in quella stanza ci fosse stata la luce, tutti quegli individui avrebbero percepito l’elefante alla stessa maniera. Mancando la luce, e affidandosi al tatto, ognuno se ne faceva una idea diversa.
L’occhio della percezione sensoriale è tanto limitato quanto il palmo della mano che non è in grado di afferrare la totalità.
L’occhio del mare è una cosa, la sua schiumaè un’altra ; tralascia la schiuma e guarda con l’occhio del mare. Giorno e notte, provenienti dal mare, si muovono le falde di schiuma ; tu vedi la schiuma e non il mare. Come è strano !
Urtiamo gli uni contro gli altri come barche ; i nostri occhi non vedono, anche se ci troviamo nell’acqua chiara.
Tu che dormi nella barca del tuo corpo : hai visto l’acqua; contempla l’Acqua dell’acqua.
L’acqua ha un’acqua che la emette, lo spirito uno spirito che lo chiama.
Ddialal-al-Dîn-Rûmî, estratto del "Mathnawī"